Run Out, la storia non solo di Jolly

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“Run Out: correre via, andare, perche’ ormai si e’ sorpassato il punto di non ritorno;
non ci si puo’ fermare, ma neppure tornare indietro”

Ho appena finito di leggere il nuovo libro di Jolly, una bella autobiografia, un po’ diretta ad un ipotetico amico che legge, un po’ diretta ad un allievo;
Si legge bene quando Jolly parla a me amico… un po’ meno piacevole quando la filosofia, spiegata, diventa troppo insistente, e mi fa sentire sul banco di scuola.

Bellissimi i racconti di vita, quella vera, qualla nella quale ognuno di noi puo’ in qualche modo identificarsi, perche’ la vita, le situazioni nell’ambiente scalatorio, sembrano in un certo senso,  forse solo in piccole affinita’, ripetersi;
Ma la storia raccontata da Jolly, la sua vita agli albori dell’arrampicata in quel di Roma, e’ pura, si sente, si avverte.

Le pagine del libro scorrono veloci fra le dita, capitoletto dopo capitoletto, in ordine cronologico, fra tacche, donne, riflessioni sulla vita, amici, caramelle, ex amici, ancora donne, ed ancora caramelle, i miti, ed i luoghi della scalata da poco tempo sportiva.

Jolly racconta di se, certe volte da dentro, altre volte come visto dall’esterno; I racconti non sono vaghi, mai ambigui; ci sono i nomi dei luoghi, i nomi e cognomi delle persone, dei loro pregi e difetti, delle invidie, delle gelosie.
Fino ad arrivare verso la fine, dove il racconto sembra arenarsi un po’, la narrazione, raccontata fino ad adesso in prima persona con qualche dialogo (pochi e solo quelli necessari), diventa in terza persona ma pur sempre parlando di se; l’approfondimento filosofico si fa’ piu’ insistente, ci si sente un po’ turbati nella lettura: la discussione sull’entropia, l’introspezione sull’eta’ che avanza; sembra che il racconto della vita, delle avventure, degli amici (anche quelli che poi deludono) sia volto al termine;
In verita’ il perche’, il senso, si svela continuando a leggere, non e’ un caso ne’ una mancanza di idee e contenuti;

Il tanto tormentato e discusso finale, il racconto della gita con Manolo, della famosa via Ethernit e del caos che cio’ ha portato, ha un perche’, e non e’ sterile ed inutile, e’ la giusta conclusione di quello che si svela un racconto di un percorso.

Ci si identifica, in Jolly o in qualche altra comparsa del racconto, questo e’ sicuro, ed anche per questo ci si ritrova con un po’ di amaro in bocca; davvero noi scalatori a qualunque livello, abbiamo certe affinita’? davvero i difetti ed i pregi, pochi a quanto pare, sono comuni a tutti? nessuno di noi e’ speciale e viviamo tutti lo stesso stato psicologico e viviamo le stesse situazioni o forse semplicemnte qualunque cosa che non abbia probabilita’ zero di avvenire, prima o poi avvera’?

Sara’ che sono uno di quelli che del “Jolly Power” (famoso libro di allenamento per l’arrampicata, sempre di Jolly) ha apprezzato e letto piu’ volte tutta la sezione “collaterale” del libro, quella sulla psicologia del climber e su come affrontare la motivazione e la paura; fatto sta che questo libro mi ha saziato, magari e’ solo quello che volevo leggere o magari ho apprezzato lo sfogo, il racconto vero di una vita, di cui “l’arrampicata e’ stata la ciliegina sulla torta e non la tora stessa”.

Un Informatico in Zimbabwe

Salve.

Da qualche settimana sono tornato dallo Zimbabwe.

Tornato in Italia ho scritto un articolo che poi e’ stato pubblicato su marieclare online potete leggere l’articolo (con le foto) all’indirizzo: http://www.marieclaire.it/Lifestyle/Reportage-Zimbabwe-installare-il-wi-fi-in-Africa-all-ospedale-Luisa-Guidotti-un-ingegnere-racconta

Riporto comunque di seguito il testo.

Spero vi piaccia.

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Il tempo in Zimbabwe

Reportage: a Mutoko per installare il wi-fi in un ospedale di volontari italiani. E guardare la Via Lattea.

Mutoko aprile 2013. Sono le dieci di mattina, l’ospedale è in piena attività; la dottoressa chiama l’infermiere: «Rashirai!, Rashirai!». La mamma del bambino che sta visitando parla poco inglese e condurre un’intera visita in Shona stretto senza l’interprete non è certo sempre semplice. Io ho in mano un router wireless, è uno di quelli che sto configurando per ampliare la rete informatica dell’ospedale. Nel frattempo la dottoressa termina la visita: «Pindai!», ovvero il prossimo. Questa volta entra un uomo. Cammino tra i corridoi affollati da persone che aspettano ordinatamente in fila, davanti alla farmacia, e quando mi vedono mi salutano con un “Hello Doctor!”: sono un uomo bianco dentro un ospedale, devo essere per forza un dottore! Invece sono un ingegnere, probabilmente meno utile di un medico.

Tutta la vita in un dollaro. Sono le undici e mentre l’ospedale entra in pausa per il tè, io vado al mercato; il dollaro USD è pronto nella mia tasca, il pezzo da un dollaro, la valuta più usata. Non è un caso, tutto costa un dollaro: un cestino di pomodori? Un dollaro. Due avocado oppure qualche pugno di noccioline o le sigarette o persino una ricarica telefonica? Un dollaro. In Italia avevo scambiato gli euro in banconote da cento o cinquanta dollari, praticamente inutilizzabili, perché qui il resto è sempre un problema, ma una volta scambiati i dollari “pesanti” con un taglio massimo da dieci di solito si può vivere tranquilli senza il rischio di creare imbarazzo. La vita scorre lenta al Luisa Guidotti Hospital anche se c’è sempre un gran da fare per la dottoressa Marilena Pesaresi (dal 1981 inmissione a Mutoko) e per il dottore Massimo Migani, che si occupano in maniera stabile dell’ospedale. Sono le tredici e andiamo a pranzo: ho già provato la sadza (una polenta preparata con il mais pallido del luogo, accompagnata da una salsa e della carne di pollo) ma mangiarla ogni giorno a ogni pasto, come fanno quasi tutti quelli del posto, mi sta mettendo alla prova. Le variazioni sul tema non mancano, qui frutta e verdura sono biologici e a km zero: per necessità e non per scelta o moda. Sono le due di pomeriggio, i medici tornano a lavoro.

“Dio ha donato gli orologi agli Svizzeri, il tempo agli Africani”. Sono le quattro e tutti rincasano, tranne, naturalmente, gli infermieri e le infermiere di turno che rimangono nei reparti con i pazienti. Stanotte ci sarà un’emergenza, un uomo in gravi condizioni; il Professore Nigro verrà chiamato di persona, fino a casa, per intervenire. Non avevo mai vissuto dentro un ospedale da osservatore esterno per più di un giorno, e la mia prima esperienza è proprio qui in Zimbabwe. Eppure poco tempo mi basta per capire non solo i “classici” rapporti medico-paziente ma anche tutti i processi organizzativi e le difficoltà di operare in un Paese come questo. Stasera la via Lattea è chiarissima, non ricordo di aver mai visto un cielo così bello. Il compound, dove si svolge l’attività dell’ospedale acquista un altro aspetto grazie al tramonto che nasconde in pochi minuti il sole. C’è calma, sono le nove di sera e anche se sono qui da pochi giorni i ritmi di vita africani stanno già prendendo il sopravvento.

 

L’alba di un nuovo giorno (e mondo). È un nuovo giorno, sono le sette di mattina, il gallo canta già da molto tempo esattamente sotto la mia finestra; faccio colazione con latte, caffè e marmellata di guava, un frutto dal sapore unico che qualcuno dice simile a quello del pomodoro. Alle otto aspetto che i medici volontari, grazie ai quali sono qui, siano pronti. «Mamuka se!», le persone che lavorano qui mi conoscono da poco ma già mi salutano affettuosamente, «Come è stato il tuo risveglio?», mi chiedono in Shona, rispondo in un rituale di frasi botta-risposta mentre ci scambiamo grandi sorrisi. Alcune donne portano in testa cesti e borse mentre camminano verso l’ospedale; c’è una luce abbagliante e io, mentre cammino, non riesco a tenere alto lo sguardo perché mentre osservo i miei passi incontro gli abitanti silenziosi di queste terre, degli insetti bellissimi: farfalle colorate, bruchi dai colori sgargianti e millepiedi enormi che mi lasciano incantato. Come un bambino allo zoo.

 

 

Mi basta il tempo di capire. Oggi faccio qualche test della rete appena messa in funzione. Tutti sembrano entusiasti della possibilità di avere internet in molte zone del compound. C’è una voglia di modernità fortissima, mentre io mi sto un po’ affezionando alle strade sterrate, all’agricoltura mal organizzata, ai bambini che portano al pascolo mucche e caprette, al sole alto e splendente, allo scorrere del tempo. Fra qualche giorno tornerò a Milano, mentre il motivo della mia permanenza a Mutoko rimane qui un altro mese. Stavolta non vorrei che questa fosse un’esperienza. Perché la parola “esperienza” implica una fine, e qui a Mutoko non vorrei dover terminare un’esperienza. Questa volta vorrei avere il tempo di capire.

 

Green Speakers

Quando voglio fare un regalo speciale, ad una persona che so sa apprezzare, tento sempre di farlo da me!

L’idea da cui sono partito era semplice… dovremmo tutti riprenderci quel contatto con la natura dalla quale ci stiamo ormai distaccando.

E’ la vita di tutti in giorni in macchina, davanti al pc, con il lettore mp3, con i nostri sporto “da palla” su tappeti sintetici, etc…, a distaccarci sempre piu’ da quella natura con la quale l’uomo un tempo viveva tranquillamente, attraverso il proprio orto, le proprie galline, etc..

Ed ecco che il resto vien da se!

Volevo regalare degli speaker per pc alla mia ragazza, ma senza dimenticare il contatto con la natura… beh.. per il resto parlano le immagini..

Sono partito da questi:

Ma cosi’ sono decisamente brutti… ed ecco che l’idea avanza…

ora avete sicuramente capito…

quindi…

next step

ok.. ci siamo… la cosa adesso e’ piu’ chiara… spero…

andiamo avanti

e da dentro…

l’altro…

Dopo di che… pastica riciclata (fondi di bidoni e fogli di plastica robusti [es. mangimi per animali]), terriccio.. ed ecco il risultato!!

ehm… ancora non ho le foto! presto aggiornero’!

Ho creato un personaggio “cubico”

Cosa si fa se si vuole fare un regalino bellino e si ha un po’ di tempo a disposizione?

Beh… non lo so!

Io ho deciso di fare una creaura cubica! ed ecco a voi il risultato!

Il prof (the brain)
Il prof (the brain)

e da visuale laterale….

Il prof (The Brain)
Il prof (The Brain)

Avrete sicuramente riconosciuto il “Prof” del cartone “Il mignolo col prof” o in inglese “Pinky and the Brain” della serie Animaniacs!

Beh.. se state pensando a come cavolo si fa una cosa del genere, vuol dire che non siete mai capitati sul sito http://www.cubeecraft.com

Il sito sopra riportato riporta tantissimi schemi per creare personaggi, c’e’ il mitico Super Mario, c’e’ blender e tanti altri!

Provate anche voi!

Attraversare sulle strisce con il verde a Catania = SUICIDIO

Oggi mi ritrovavo, come capita spesso, ad attraversare l’ultimo (o il primo :p) tratto di via passso gravina a Catania, via Fasano con esattezza.

Non dovrebbe essere pericoloso attraversare in quel punto, perche’ si tratta di una zona molto trafficata, cosa case da entrambi il lati della strada e molti esercizi commerciali intorno compreso un supermercato abbastanza grande, per di piu’ e’ un attraversamento provvisto di strisce pedonali e semaforo pedonale!

Ecco dove:

Visualizzazione ingrandita della mappa

Ed invece mancanza di civilta’ e del rispetto delle persone e delle regole, rendono l’attraversamento in quel punto, una partita alla roulette russa.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=hrxam_egJ1s&hl=it&fs=1]

Mio commento al video su youtube:

A Catania per attraversare non basta farlo sulle strisce, non basta prenotare il semaforo ed attendere il verde, bisogna essere cauti ma non lenti, veloci ma non andare di corsa e stare MOLTO ATTENTI agli scooter che ti passano davanti e subito dietro.

Pedoni a Catania? continuando cosi’ non per tanto tempo…